Assalto alle pensioni cosiddette “d’oro”

Già la scure è posta alla radice degli alberi (Matteo 3,10)” dove la scure è la manovra economica in formato Senato e gli alberi sono le pensioni c.d. d’oro.

Non si sa ancora dove la scure colpirà, né quanto profondo sarà il taglio: le ipotesi che circolano per il momento hanno validità giornaliera e vanno da un ricalcolo della quota retributiva, al contributo di solidarietà, caro al M5S al blocco della perequazione, preferito dalla Lega (ma fatto proprio dal M5S così come risulta dalla citazione dell’intervista riportata in seguito).

L’unica certezza, allo stato dei fatti, è il ricalcolo della quota retributiva delle pensioni di importo complessivo superiore ad una certa soglia che nella rubrica dell’art. 1 è stabilita in € 4.500, mensili, (che dalla relazione risultano netti) mentre nel testo dell’articolo stesso è stabilita in € 90.000 lordi, (proposta di legge D’Uva ed altri presentata il 6 agosto scorso, atto Camera 1071, proposta che si può leggere qui).

La sostanza della proposta si concretizza, quindi in un risparmio di spesa previdenziale, che, però non potrebbe giovare alla gestione pubblica del sistema pensionistico se non per la parte di competenza di quella gestione se vale ancora il principio enunciato dalla Corte Costituzionale (sentenza 7/2017) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 comma 3 del D.l. 6/7/2012, n. 96 nella parte in cui imponeva alle Casse di previdenza privatizzate di riversare al bilancio dello stato l’ammontare dei risparmi ottenuti a seguito dell’adozione di interventi di razionalizzazione della spese per consumi intermedi, ad esse imposta in forza della loro inclusione nell’elenco delle pubbliche amministrazioni redatto dall’Istat, ai sensi dell’art. 1 comma 2 della L. 30/12/2009 n. 196.

Questa proposta, in discussione, insieme ad altre connesse, alla Commissione XI – Lavoro, è stata già oggetto di critiche da parte delle opposizioni di varia estrazione.

L’on. Polverini (seduta del 27 settembre) ha osservato che il contenuto delle proposte di legge appare minare i principi alla base di uno Stato di diritto in quanto intervengono su delicatissimi meccanismi che governano il sistema pensionistico, …, facendo inoltre confusione tra coefficiente di trasformazione, montante contributivo, età di accesso al pensionamento e altri aspetti ancora e confondendo trattamenti di natura diversa, introdotti nell’ordinamento con finalità diverse e finanziati con modalità pure diverse.

L’on. Epifani ha rilevato che la proposta comporterebbe la riduzione del trattamento pensionistico di circa 50.000 soggetti, su un totale di più di quindici milioni di pensionati, con una sproporzione tra la complessità del meccanismo messo in campo e la modestia del risultato, salvo che si pensi che tale meccanismo si possa prestare a un intervento assai più esteso, magari quando le condizioni economiche del Paese dovessero peggiorare fino a un punto tale da rendere necessario fare cassa, ancora una volta a spese dei pensionati,

Nella stessa discussione sia l’on. Epifani sia l’on. Serracchiani hanno proposto, in alternativa il classico contributo di solidarietà.

Il M5S li ha presi in parola e, secondo notizie giornalistiche si ripropone di presentare in senato un emendamento alla legge di stabilità per l’introduzione di questo contributo sulle pensioni eccedenti novantamila euro annui ed è circolata la notizia di aliquote variabili dal 25% al 40% da applicare alla parte eccedente € 4.500 netti mensili, notizia confermata dal Vice Presidente del Consiglio pentastellato che in una intervista pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2018 alle pagine 2 e 3, a proposito dei fondi per avviare i provvedimenti cari al governo, dopo la riduzione dei saldi trattata con l’UE, ha dichiarato “Preleveremo molti più soldi dalle pensioni d’oro. Oltre al taglio in tre scaglioni, 20, 35 e 40 per cento, ci sarà il raffreddamento, cioè non adegueremo al tasso di inflazione le pensioni d’oro. E in questo modo contiamo di recuperare oltre un miliardo” (citazione dalla rassegna stampa di Radio Radicale del 14 dicembre 2018 – “Stampa e Regime di Massimo Bordin” dal minuto 47:00).

Si tratta di aliquote mai viste nella lunga storia di questa forma di prelievo il quale fa la sua comparsa, a quanto mi risulta, con la

  1. L. 23 dicembre 1999, n. 488 – (legge finanziaria 2000) che all’a 37 comma 1 disponeva:

“A decorrere dal 1 gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall’articolo 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà nella misura del 2 per cento secondo modalità e termini stabiliti con decreto ….ecc. ecc.”

Ricompare con il

D.-L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 22-bis. che impone il contributo a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi complessivamente superino 90.000 euro lordi annui, in misura pari al 5%, 10% e 15% rispettivamente per le parti eccedenti i 90.000, 150.000 e 200.000 euro; fatta salva la soglia minima di 90.000 euro lordi annui.

Le somme trattenute dagli enti sarebbero state versate, “all’entrata del bilancio dello Stato”.

Su questo decreto è intervenuta la Core costituzionale che, con la sentenza n.116, del 3 giugno 2013, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost., il citato art. 18, comma 22-bis, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98.

Infatti, ha osservato la Corte, la disposizione censurata, “si configura quale intervento di perequazione avente natura tributaria” [la natura tributaria deriva dall’acquisizione del contributo al bilancio dello stato – n.d.r.] … “dato che, al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, l’ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi, determinando un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita”.

Di nuovo il contributo di solidarietà ricompare con durata triennale emendato dagli aspetti tributari, con la

  1. 27 dicembre 2013, n. 147 –(Legge di stabilità 2014) che all’art. 1 comma 486 ripristina il contributo a decorrere dal 1º gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS con aliquote rispettivamente del 6%, 12% e 18% delle parti eccedenti il predetto importo fino a 20, a 30 ed oltre 30 volte.

Le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo.

Questa volta il prelievo supera il vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza 5 luglio 2016 n. 173 riconosce che il contributo di solidarietà ex art. 1 comma 486 non viola gli art. 3 e 53 della Costituzione; perché non è configurabile come tributo non essendo acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali (punto 9 delle “considerazioni di diritto”).

Con quest’ultima sentenza la Corte ha fissato tuttavia alcuni paletti entro i quali il prelievo è consentito.

In linea di principio, “il contributo di solidarietà sulle pensioni può ritenersi misura consentita al legislatore ove la stessa non ecceda i limiti entro i quali è necessariamente costretta in forza del combinato operare dei principi di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale (artt. 3 e 38 Cost.), il cui rispetto è oggetto di uno scrutinio “stretto” di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà”.

“In tale prospettiva, è indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l’intervento ablativo come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile.

Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori – endogeni ed esogeni (il più delle volte tra loro intrecciati: crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico) – che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato”.

Anche in un contesto siffatto, conclude la Corte, il contributo di solidarietà deve palesarsi come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve cioè

  1. operare all’interno del complessivo sistema della previdenza;
  2. essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema;
  3. incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime);
  4. presentarsi come prelievo sostenibile;
  5. rispettare il principio di proporzionalità;
  6. essere comunque utilizzato come misura una tantum.

[Le regole sopra riportate si leggono testualmente nella sentenza sia pure non in forma di elenco ordinato – n.d.r.],

Quante di queste regole saranno rispettate, qualora si concretizzasse di nuovo l’imposizione di un contributo di solidarietà?

Stando alle notizie che circolano sui mezzi di informazione non molte.

In pratica il contributo di solidaritetà è stato in vigore ininterrottamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2017, dopo un anno di sospensione, forse rientrerà in vigore dal 1° gennaio 2019 per durare non si sa fino a quando con buona pace della regola di cui al punto. 6) e si parla di aliquote che difficilmente possono ritenersi compatibili con la regola di cui al punto 4), una destinazione a finalità assistenziali dovrebbe essere esclusa dalla regola di cui al punto 1) a proposito della quale mi sia consentito di osservare che così come è riportata al paragrafo 11,1 delle “considerazioni di diritto” della citata sentenza n. 173, non è perfettamente coincidente con quanto affermato al paragrafo 9 terzo capoverso delle stesse considerazioni sopra riportato che fur parole alle prime diverse.

Mi sembra, ma posso sbagliarmi, che “operare all’interno del complessivo sistema della previdenza” e trattenere “all’interno delle proprie gestioni” abbiano implicazioni diverse. Ma certamente questo ci verrà chiarito successivamente, anche a seconda delle future esigenze di finanza pubblica.

Intanto la legge di stabilità 2018 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) approvata dalla Camera dei Deputati è stata presentata al Senato (atto n. 981) ed assegnata alla 5a commissione (Bilancio); nel termine stabilito scaduto il 13 dicembre 2018 sono stati presentati più di 3.000 emendamenti che, però, ancora al momento non sono riportati nel sito del Senato e, pertanto, non resta che aspettare incrociando le dita.

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