Rapporto ADEPP 2019: iscritti e redditi professionali

È di recente pubblicazione il Rapporto Adepp 2019 che, dopo una prima parte dedicata ad un elenco descrittivo delle Casse previdenziali professionali, aderenti all’organizzazione, ed al quadro normativo di riferimento, fornisce alcuni dati relativi agli iscritti (coloro che nel periodo considerato hanno versato contributi agli Enti di appartenenza).

Il rapporto, che prende ovviamente in esame il quadro generale dell’andamento delle Casse prescindendo dalle peculiarità di ciascuna, considera il periodo dal 2005 al 2018.

I dati si riferiscono al 31 dicembre di ogni anno e non includono nel computo gli iscritti di CASAGIT e ONANOSI perché già inclusi rispettivamente in INPGI e all’interno degli enti che operano nel settore sanitario.

Gli iscritti.

Si riscontra, anno per anno, un costante aumento: erano 1.308.238 nel primo anno considerato e sono stati 1.649.263, nell’ultimo. con un aumento, nell’intero periodo del 26.07%. (tabella 3.1 a pag. 94).

Interessante è la disaggregazione dei dati tra contribuenti attivi e contribuenti attivi pensionati (intesi, questi ultimi, come coloro che continuano l’esercizio professionale anche dopo il pensionamento). Quello che colpisce è che mentre i “contribuenti attivi” registrano, nel periodo, un incremento del 1.30%, i “contribuenti attivi pensionati” registrano un incremento decisamente superiore pari al 2.08%.

Su questo dato il Rapporto ritorna a pag. 114, definendolo “piuttosto rilevante”, esponendo gli stessi dati in forma di grafico (figura 3.19) il quale evidenzia come, ponendo pari a 100 il numero dei contribuenti pensionati all’inizio del periodo (2005) l’incremento che, fino al 2008, segue quello dei contribuenti non pensionati, se ne distacca, da quell’anno in poi. per raggiungere un livello superiore a 200, mentre quello relativo ai non pensionati supera di poco i 120.

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Questo fenomeno, ci dice il Rapporto, ha riguardato quasi tutte le Casse professionali, sia pure con percentuali differenti, raggiungendo per 4 Enti il 40% e per 2 il 50% (con l’eccezione del nostro Istituto previdenziale, non essendo ammesso nel notariato, l’esercizio professionale dopo il pensionamento).

Il Rapporto non indaga sui motivi di questo “fenomeno piuttosto rilevante” ma il fatto che coincida con l’inizio della crisi finanziaria, che poi è divenuta anche economica, forse non segnala una corrispondenza  soltanto temporale.

Invecchiamento medio degli iscritti.

il fenomeno è evidenziato in forma grafica in figura 3.9 (pag. 106) la quale mostra come l’età media degli iscritti da 44,3 anni del 2005 abbia raggiunto i 48,1 anni nel 2018 in armonia con l’aumento dell’età media degli occupati che segna un aumento da 39,8 a 44 aani.

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Il grafico di figura 3.8 (pag.105) evidenzia la curva discendente degli iscritti con età inferiore ai 40 anni che passano dal 41% del 2005 al 28,3% del 2018.

Il Rapporto giustifica questi dati con l’invecchiamento medio della popolazione, con le riforme previdenziali che hanno elevato l’età pensionabile, con il sempre maggiore ricorso al sistema contributivo di calcolo del livello di trattamento pensionistico, con la diminuzione degli iscritti alle università e, soprattutto, con la costatazione che il professionista, per l’alta qualificazione richiesta, entra nel mercato del lavoro ad un’età maggiore rispetto alla media degli altri lavoratori.

Il secondo ed il terzo dei motivi ipotizzati non riguarda il notariato che non ha subito innalzamenti dell’età pensionabile, già fissata da tempo al limite dei 75 anni, ed ha un sistema di determinazione dell’ammontare del trattamento pensionistico su base mutualistica che prescinde dal monte contributivo individuale.

Componente femminile.

il periodo considerato comprende gli anni dal 2007 al 2018 per i quali si dispone di dati.

Il grafico di figura 3.10 (pag. 107) evidenzia una impennata della curva relativa alla presenza femminile nella popolazione iscritta alla Casse previdenziali privatizzate che è aumentata, nel periodo del 10% (30,1% 2007, 39.8% 2018) con un incremento medio di quasi l’1% annuo: mantenendo questo trend nel prossimo decennio si verificherà il sorpasso.

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L’analisi dei dati segnala inoltre come nella fascia di età inferiore a 40 anni (grafico di figura 3.12, pag. 108) il sorpasso sia già avvenuto; la percentuale femminile si colloca intorno al 54%, in rapporto a quella fascia di età.

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L’analisi per regione (figura 3.13, pag. 109) dimostra come il fenomeno prescinda dall’appartenenza regionale.

Reddito dei professionisti iscritti agli Enti.

Questa sezione del Rapporto evidenzia il disagio del ceto professionale il cui reddito medio si attesta per l’anno 2005 su € 34.698 per raggiungere, seppure con qualche fluttuazione intermedia,  nel 2018 i 35.571 €, (tabella 4.1, pag. 121) [1]

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Dalla tabella risulta palese l’effetto della crisi del 2008 che si è resa evidente con i redditi dichiarati negli anni dal 2010 al 2016.

L’effetto è ancora più marcato se si considera il reddito in termini reali anziché nominali; sotto questo aspetto il grafico di figura 4.1 mostra come, fatto uguale a 100 il reddito 2005, quello 2018, che in termini nominali presenta un incremento del 2.52%,  in termini reali presenta una perdita di quasi il 15%.

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Una così sensibile riduzione dei redditi è giustificata nel Rapporto, oltre che con la crisi intervenuta nel 2008 anche come effetto di due altri fattori: la riforma forense che ha portato nella relativa Cassa previdenziale un notevole numero di avvocati, con redditi molto bassi, provenienti dalla Gestione Separata INPS e l’aumento della quota femminile nelle professioni che è penalizzata da un forte divario di genere [G.P.G = Gender Pay Gap – n.d.r.], in relazione al reddito (38%, – 45% nel 2018).

A tale riguardo l’Adepp ha fatto stato del proprio impegno, sul piano interno e comunitario, per adottare e promuovere, con ogni appropriata iniziativa, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro ed il migliore equilibrio fra vita professionale e vita privata.

Redditi secondo il genere.

A riprova della penalizzazione del reddito femminile il Rapporto ci mostra (grafico di figura 4.5, pag. 127) come il reddito medio della componente femminile sia costantemente inferiore a quello della componente maschile, specialmente nelle classi di età tra i 40 ed i 70 anni. Si riporta integralmente, qui di seguito, la giustificazione che il Rapporto dà di questo fenomeno che è comune anche al settore del lavoro subordinato ma che nell’ambito delle libere professioni ha livelli che raggiungono il 45% contro il 4% nell’altro settore.

“Le cause di questo divario salariale sono molteplici, interconnesse e coinvolgono dimensioni individuali, famigliari, collettive e sociali. Ma tra i tanti, un elemento è stato finora oggetto di scarsa attenzione e raramente rilevato.

I minimi retributivi fissati dalla contrattazione collettiva per il lavoro subordinato hanno fatto sì che le discriminazioni salariali potessero “intaccare” la sola parte variabile della retribuzione, contenendo significativamente il GPG.

Nelle libere professioni invece gli interventi normativi che si sono succeduti dal 2006 al 2016 in materia di compensi professionali hanno contribuito ad abbassare i redditi dei professionisti giovani e soprattutto delle donne, ampliando il divario salariale.

Nella convinzione che il mercato dei servizi professionali in Italia necessitasse di interventi atti a consentirne l’apertura e lo sviluppo, il d.l. 223 del 4 luglio 2006, cd. Decreto Bersani, abroga per primo il principio dell’inderogabilità dei minimi delle tariffe delle professioni regolamentate in ordini e collegi professionali, a loro volta successivamente abolite dall’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 27 marzo 2012, n. 27, cd. decreto sulla liberalizzazione del governo Monti.

Venuta meno la tariffa professionale, come elemento di orientamento e riferimento nella determinazione dell’ammontare del compenso dei professionisti, ruolo centrale assume l’autodeterminazione delle parti nella definizione del contenuto economico della prestazione. Con un significativo ampliamento del GPG nel settore.

Poiché nessuna delle misure adottate ha consentito il raggiungimento degli obiettivi prefissati, nel 2017 il legislatore effettua una significativa inversione di tendenza in materia, con un primo intervento volto a (ri)affermare il diritto per i liberi professionisti ad un «equo compenso».

Il limitatissimo ambito di applicazione della norma (alle sole imprese bancarie e assicurative con esclusione delle piccole e medie imprese) non consente purtuttavia di prospettare in un prossimo futuro una riduzione del GPG nelle libere professioni.” [2]

Analisi regionale dei redditi professionali.

Un quadro ancora più deprimente ci presenta l’analisi in parola la quale mostra (grafico di figura 4.6, pag. 129) come il reddito professionale dichiarato, scendendo dal nord verso il mezzogiorno e le isole, si riduce progressivamente sia nei massimi sia nella media; quello che resta sostanzialmente immutato è il GPG.

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Il Rapporto ci informa che la differenza tra il reddito dei professionisti settentrionali e quelli meridionali si attesta intorno al 50%, mentre notevolmente minore è lo scarto tra i primi ed i professionisti appartenenti alle regioni centrali (ca il 20%).

Dalla valutazione dei redditi professionali massimi, su base regionale (grafico di figura 4.7, pag. 130) risultano in testa Lombardia e Trentino-Alto Adige (ca 65.000 € per la componente maschile, ca 35.000 € per quella femminile) in coda la Calabria con poco più di 20.000 € per la componente maschile e poco più di 10.000 € per la componente femminile.

Quanto al dato medio complessivo in testa si pone il Trentino-Alto Adige con 54.304 € ed in coda ancora la Calabria con 19.236 €.

Poiché stiamo trattando di dati medi, come ci sono professionisti il cui reddito supera quello medio, ce ne sono di quelli il cui reddito si pone al di sotto di quello medio e questo significa che in un paese che partecipa al G7 (organizzazione composta, come è noto, da sette tra le maggiori economie avanzate del pianeta) può anche accadere che un professionista si trovi nelle condizioni reddituali che gli consentano di accedere al Reddito di Cittadinanza!!!


[1] Si tratta di poco più dello stipendio che riceve un impiegato di banca con mansioni di sportellista (da 27.000 a 33.000 € secondo quanto riportato in un articolo del 1° gennaio 2020, a firma Teresa Maddaloni Pubblicato da Money.it [https://www.money.it/Quanto-guadagna-un-impiegato-di-banca-lo-stipendio] con una sostanziale differenza che lo sportellista di banca, oltre ad avere (quasi) certezza del suo reddito, gode di congedi, per ferie o per malattie, retribuite, il professionista non ha certezza di reddito, e ferie e malattie sono del tutto improduttive dal punto di vista reddituale, mentre va comunque assicurata la continuità della struttura professionale, anche in relazione al personale operante.

[2] A quest’ultima considerazione si aggiunga quanto già rilevato in questo sito, (https://www.asnnip.it/notariato/notizie/equo-compenso.html) che, “l’equo compenso non è la tariffa; a parte le limitazioni soggettive, esso introduce un diritto, non un obbligo, quindi, anche se dichiarato irrinunciabile de jure è rinunciabile di fatto mediante il non esercizio del diritto corrispondente; e la rinuncia (tacita) è priva di sanzione disciplinare.”

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