Spending review: Casse beffate?

Una sentenza della Corte Costituzionale che ci lascia perplessi.

Dice la Corte Costituzionale nella sentenza n.7 dell’11/01/ 2017:

“La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.8 comma 3 decreto legge 6 lu­glio 2012 n.95 ( Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica…) convertito con modi­ficazioni dall’art.1 comma 1 della legge 7 agosto 2012 n.135, nella parte in cui prevede che le som­me derivanti dalle riduzioni ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa Nazionale di previ­denza e assistenza per i Dottori Commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato”

L’articolo 8 dichiarato parzialmente illegittimo, nella parte che ci interessa, senza fare menzione espressa alla Cassa citata nel dispositivo della Corte, prevede che “… al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi:

a) “i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)… sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010…;

b) “Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanzia­ria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizza­zione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispon­denti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono ver­sate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno…”

Si tratta di una sentenza che, letteralmente interpretata, lascia inalterato il dettato legislativo pur sanzionato di illegittimità costituzionale; dettato che non contiene alcun riferimento testuale alla Cassa di previdenza dei dottori commercialisti, con la conseguenza che a questa viene riservato un trattamento privilegiato rispetto a “gli enti ed organismi dotati di autonomia finanziaria…”, ca­tegoria che comprende tutte le casse privatizzate con il D.lgs 509 del 94, che resta ancora disciplina­ta dal citato arti. 8 comma 3, nel testo originario, determinando un nuovo motivo d’incostituzionalità, per contrarietà all’art.3 della Costituzione che, secondo la sentenza della stessa Corte n. 340/204, si considera vio­lato “quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso” e non ci dovrebbe essere dubbio sul fatto che la Casse Previdenziali dei professionisti, privatizzate se­condo il D.lgs 509 del 1994 si trovino in situazioni sostanzialmente identiche.

Ed è questa la interpretazione che, secondo notizie di stampa, avrebbe dato, pro erario, la Ragioneria Generale dello Stato, sostenendo che la Corte abbia pronunciato la declaratoria d’incostituzionalità per la par­te dell’art. 3 in cui si impone che le somme derivanti dalle riduzioni siano versate dalla Cassa di Previdenza dei Dottori Commercialisti, con una sentenza di accoglimento con formula d’illegitti­mità costituzionale parziale a favore della Cassa che aveva inoltrato ricorso contro la norma consi­derata. “Pertanto nulla hanno a pretendere le altre Casse che non hanno direttamente intro­dotto ricorso”.

Diversa interpretazione costituzionalmente orientata viene fornita dal portale dell’Ordine dei Con­sulenti del Lavoro di Napoli, secondo il quale “La sentenza de qua si occupa in modo specifico della Cassa dei Dottori Commercialisti, in quanto si riferisce al ricorso presentato dallo stesso ente, ma fissa un principio che vale sicuramente per tutte le Casse di previdenza pri­vate. Resta inteso che dovrà essere lo Stato ad adeguare tutte le proprie richieste secondo le indicazioni arrivate dalla Corte Costituzionale ovvero se anche le altre Casse dovranno portare avanti la battaglia legale, un iter che l’ENPACL [Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro – ndr] ha comunque già avviato da qualche anno”.

Quest’ultima ipotesi ci sembra comportare un imponente spreco di mezzi giuridici.

Resta, infatti, da chiedersi se non sia compito del giudice ordinario, con una interpretazione costituzionalmente orientata, dirimere, secondo il dispositivo adottato nella sentenza de qua, anche tutte le al­tre vertenze dello stesso tipo che vengano al suo esame ritenendo che la Corte abbia usato una sineddoche citando la parte per il tutto.

Del resto la stessa Corte costituzionale ha sollecitato il giudice ordinario a fare uso dell’inter­pretazione costituzionalmente orientata, “dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale laddove il giudice a quo non abbia previamente verificato la possibilità di attribui­re alla norma denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da superare di dubbi di costituzionalità” (Lipari: “Le sentenze della Corte Costituzionale” in “Diritto Civile” diretto da Nicolò Lipari e Pietro Rescigno, volume I Giuffrè Editore, pagine 67 e giurisprudenza ivi citata.

E’ giustificata la nostra perplessità o ci siamo persi qualcosa?

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