Equo compenso senza pace

Il 2 dicembre scorso, presso la Commissione Permanente Giustizia, della Camera dei Deputati, è iniziato, in sede referente, l’esame abbinato di ben tre proposte di legge in materia di equo compenso per lo svolgimento di prestazioni professionali.

Si tratta delle proposte di legge A. C. 301, presentata il 3 marzo 2018, A. C. 1979, presentata il 12 luglio 2019 e A. C. 2192, presentata il 18 ottobre 2019;
esse vedono quali primi firmatari, rispettivamente, i deputati Meloni (FdI), Mandelli (FI), e Morrone (Lega).
Relatrice la Deputata Ingrid Bisa (Lega), che espone la sua relazione, a seguito della quale non ci sono interventi e la discussione è rinviata ad altra seduta da fissare.

Va ricordato che un’altra proposta di legge in materia di equo compenso è stata presentata in Senato dalla senatrice Roberta Toffanin appartenente al Gruppo Forza Italia-UDC e comunicata alla Presidenza l’8 aprile 2019 (S. 1216) assegnata alla undicesima commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) in sede redigente, che non ne ancora iniziato l’esame.

Tutto questo fervore intorno all’argomento ha origine dal riconoscimento che gli interventi posti in essere nella passata legislatura non hanno sortito i risultati sperati.

Come è noto il problema dell’equo compenso nasce con il decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) che dispose l’abrogazione delle norme che prevedevano l’obbligatorietà dei minimi tariffari, seguito dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (c. d. decreto Monti) , convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che abrogò del tutto le tariffe professionali, introducendo i parametri Ministeriali da utilizzarsi nel caso di liquidazione contenziosa del compenso, con la conseguenza che “dal momento che molte tra le professioni ordinistiche sono alimentate dalla seconda scelta di un esercito di laureati disoccupati, si scatena una concorrenza … che conduce i soggetti più deboli … ad accettare remunerazioni sottocosto con l’inevitabile dequalificazione delle prestazioni” [così la relazione che accompagna la proposta di Legge Toffanin – n.d.r.].

Il concetto di equo compenso, inteso come adeguatezza della retribuzione “alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione“, è stato legislativamente introdotto (ma con le note limitazioni soggettive1) con l’inserimento, (da parte della L. 4.12.2017 n. 172) nella L. 31/12/2012 n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) dell’art. 13-bis, il quale riconosce, appunto, all’avvocato il diritto ad un equo compenso ed estende il riconoscimento alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti ad ordini e collegi [cioè ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile – n.d.r] .

Ma tale disciplina, per unanime consenso dei presentatori delle proposte di legge richiamate, non ha dato risultati apprezzabili, sia per le limitazioni soggettive previste, sia per il riferimento testuale alle “convenzioni“, termine che essendo stato interpretato in senso stretto così da escludere gli altri significati che può esprimere (quali ad esempio: accordo, contratto, trattato, patto, compromesso, concordato, cartello, capitolato, ecc.), ha dato modo ai c.d. contraenti forti di eludere la disciplina introdotta, sia mediante il ricorso a modelli procedimentali diversi dalle convenzioni in senso stretto (come evidenziato dalla relazione al Ddl Mandelli A.C. 1979), sia per l’invalsa tendenza di alcune Pubbliche Amministrazioni di emanare bandi a compenso irrisorio o addirittura senza compenso anche con l’avallo della giustizia amministrativa.

L’adeguatezza del compenso, come è noto, trova la sua principale fonte legislativa in due norme: l’art. 36 della Costituzione “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa“, l’art. 2233 c.c. comma 2 “In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione“.
Di queste due norme, la prima è, forse, la meno rispettata della Legge fondamentale, la seconda è stata, di fatto, cancellata dalla concorrenza al massimo ribasso scatenata dall’abolizione delle tariffe professionali, in nome dell’Europa [ce lo chiede l’Europa – n.d.r.].

Senonché nel diritto europeo il divieto di tariffazione non è assoluto ma sono previste deroghe quando siano giustificate “da un motivo imperativo di interesse generale” nella cui nozione rientra “la tutela dei destinatari dei servizi“. (Si veda in proposito il commento alla sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 luglio 2019 pubblicato su questo portale, nonché diffusamente la relazione alla proposta di legge Morrone)

Tutte le proposte di legge presentate si prefiggono di rimediare agli inconvenienti sorti nell’applicazione della legislazione sull’equo compenso prodotta nella precedente legislatura ed hanno in comune i seguenti punti:

  • la definizione di equo compenso come compenso proporzionato all’opera prestata (C. 301), alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale (C. 1979 – S. 1212);
  • il riferimento ai parametri definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, considerati come limite al di sotto del quale il compenso si presume non equo;
  • la sanzione di nullità relativa e parziale delle convenzioni che prevedono un compenso non equo;
  • L’estensione dell’applicabilità della disciplina ad ogni prestazione di opera professionale, indipendentemente dal titolo che la prevede (convenzione, contratto, bando di gara, nonché qualsiasi altro tipo di accordo).

il DdL C. 301 (Meloni ed altri) in pratica ripristina il regime precedente alla normativa abolizionista con qualche semplificazione nel caso di liquidazione contenziosa.

  • con l’art. 1, 1° comma agisce direttamente sull’art. 2233 del codice civile compreso nel libro V Del lavoro, Titolo III Del lavoro autonomo, Capo II Delle professioni intellettuali (eliminando, pertanto, in radice, qualsiasi limitazione soggettiva), aggiungendovi un lungo 4° comma che oltre a contenere tutte le disposizioni sopra elencate prevede, per il caso della liquidazione contenziosa del compenso, in luogo della consulenza tecnica, di cui il giudice non può avvalersi, “il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce piena prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle con dizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
  • Con lo stesso articolo 2° comma.
    • abroga i commi 1 e 5 dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che hanno abrogato “le tariffe delle professioni regolamentate“;
    • modifica il 1° periodo del comma 2 come segue: “Nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento alle tariffe o ai parametri vigenti all’epoca della prestazione, stabiliti con decreto del Ministro vigilante
  • Con l’art. 2 l’equo compenso, come definito dal DdL è considerato un obbligo per il libero professionista sanzionabile dagli ordini professionali con l’adozione di disposizioni deontologiche.
  • Con l’art. 3 attribuisce al parere di congruità emesso dall’ordine o collegio professionale sul compenso e sugli onorari richiesti dal professionista la dignità di titolo esecutivo.
  • Con l’art. 7 prevede l’estensione temporale delle norme che dichiara applicabili con riferimento al tempo della prestazione e non alla sottoscrizione delle convenzioni che la prevedono;
  • Con l’art. 8 abroga la lettera a) del comma 1 dell’art. 2 del D.L. 4/7/2006, n. 223 [c.d. decreto Bersani – n.d.r.] sopra richiamato che aboliva l’obbligatorietà delle tariffe professionali.

Il Ddl Mandelli (atto Camera 1979) riduce, ma non elimina, le limitazioni soggettive attualmente vigenti, escludendo l’applicazione dell’equo compenso ai rapporti con i Consumatori (art.2 comma 2); introduce un’azione collettiva esperibile da parte dei Consigli Nazionali delle Professioni “qualora ravvisino violazioni alle disposizioni vigenti in materia di equo compenso, da parte dei soggetti di cui al comma 1, dell’articolo 13 bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247. al fine di richiedere al giudice competente l’inibizione della violazione …” [si tratta delle imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione (UE) del 6 maggio 2003 ma solo con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono
unilateralmente predisposte dalle predette imprese. – n.d.r.]

La proposta di legge Morrone (A.C. 3192), come la precedente:

  • mantiene le limitazioni soggettive alla sua applicazione complicando notevolmente i criteri di individuazione dei soggetti cui si applica la disciplina introducendo valutazioni di carattere occupazionale e reddituale annuo;
  • aggiunge ai criteri di valutazione dell’equità del compenso quello della ripetitività delle prestazioni;
  • Introduce la riduzione alla metà del compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti nei confronti della pubblica amministrazione e gli agenti della riscossione.

Questa riduzione ha provocato un risentito articolo sul Il Dubbio del 2 dicembre scorso che ha parlato di “iniquo compenso” ed un chiarimento dell’on. Morrone il quale avrebbe assicurato, come riportato nell’articolo citato, che “Il riferimento è ai soli atti ripetitivi, ma chiariremo tutto con gli emendamenti” [applicazione della clausola “salvo intese” – n. d. r.]

Non va dimenticato che sul tema dell’equo compenso sono aperti due “tavoli tecnici“:

Il primo in ordine di tempo, espressamente dedicato al tema, istituito (aprile 2019) dal Sottosegretario al Ministero di Giustizia Jacopo Morrone, del quale sulla Rete Unitaria del Notariato si ricorda la prima riunione risalente al 3 luglio 2019, dopo di che se ne sono perdute le tracce non ostante che lo stesso Ministro della Giustizia, nell’intervento al 54° Congresso del Notariato (2019), ammettendo che i relativi lavori hanno subito “un arresto in seguito alla crisi di Governo” ha manifestato la sua “ferma intenzione di riattivarlo in tempi brevi“.
Poi è subentrata la pandemia e non se ne è più parlato.

Il secondo, istituito, in ossequio alla Legge 81/2017, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ed insediato dalla Ministra Nunzia Catalfo,il 17 dicembre, dedicato al più ampio tema del lavoro autonomo, ma che non potrà trascurare il tema dell’equo compenso.

Va ricordata, infine, la mozione approvata nell’ottobre 2019 dalla Camera dei Deputati, che impegnava il Governo ad intraprendere ogni opportuna iniziativa di carattere normativo atta a garantire la diffusa applicazione del principio dell’equo compenso per le prestazioni svolte da professionisti a favore delle pubbliche amministrazioni, grandi imprese, banche ed assicurazioni….e “ad avviare una mirata interlocuzione con tutte le professioni ordinistiche , raccogliendo specifici contributi sulle peculiarità dei rispettivi regimi tariffari, onde poter elaborare una proposta normativa coerente ed unitaria sul tema

Viene da pensare “troppa grazia” e da Incrociare le dita perché tutto questo interesse intorno all’equo compenso non vada perduto, anche a causa delle vicende politiche in corso, e conduca ad una conclusione che ridia dignità al lavoro professionale.
E così sia.


1) Come è noto, l’equo compenso, nella versione attuale, si applica solo nei confronti “delle imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole…” (art.13-bis L. 31/12/2012 n. 247).